Nella Sabbia
“Nella sabbia e per la sabbia, perché il mare vuole, perché il mare prende i figli del demonio.” Nina è una madre di Gela, paese siciliano contaminato dai veleni dell’industria petrolchimica. La sua storia – affidata alle parole di un delirio circolare, inciso nella memoria dal dolore, tra i dischi di una vecchia sala da ballo – rinnova sulla scena un atroce sacrificio consumato in una lontana notte d’estate.
[N d a] Sono stata a Gela ed è la ragione che mi ha spinto a scrivere un racconto dal quale ho estratto questo breve monologo. La fatiscente struttura de La conchiglia è visibile ancora oggi nel lungomare di questo paese. La conchiglia, in un lontano passato, fu una sala da ballo dove un tempo danzò anche il giovane Mussolini. La struttura è realmente una carcassa atroce e vuota, un relitto (come capita sovente in Sicilia) lasciato in stato d’abbandono, davanti a un mare distrutto dall’inquinamento. Chi vive in questo paese da anni accetta nell’impotenza di respirare un’aria malsana, e non c’è nulla da fare. I bambini continuano ad andare a scuola, a giocare all’aperto, le finestre delle case di Gela ogni mattina aprono le imposte e così un tanfo sottile entra implacabilmente nei polmoni di tutti coloro che vi abitano.
Respirando un poco di quell’aria ho impugnato la penna, la spada ad inchiostro di una paladina infaticata. Tocca dunque alla scena, alla voce di Nina, restituire la testimonianza di una realtà ineluttabile. A questo giova la scrittura.