La Roba
La novella rusticana La roba (1881) esprime l’impianto sostanziale nonché il valore universale della poetica di Giovanni Verga. Riguarda non solo i suoi personaggi vinti dalla vita ma l’intera collettività umana. Essa dà forma concreta al nostro tempo animato dalla logica del possesso materiale, stabilendo però una sostanziale differenza: i beni di Mazzarò riguardano il patrimonio di cose della terra, non permettono al personaggio di dimenticare la propria gretta ma schietta umanità, mentre l’uomo contemporaneo ormai fagocita di tutto prevaricando i propri simili in una comune corsa all’ostentazione e al potere.
È lecito chiedersi: quale la roba del secondo millennio? Un coacervo d’oro e banalità che in una cultura derivativa come la nostra, porta gli uomini all’omologazione.
La scrittura oggettiva della novella verghiana segue un ritmo scandito dal tempo della roba. Basta lo spazio della campagna a definire Mazzarò, un uomo parco di parole ma copioso di pensieri rivolti al lavoro e al possesso fisico dei propri averi.
Per conferire un efficace rilievo teatrale all’impianto scenico, questa drammaturgia ha inserito nell’azione altri personaggi ai quali la vita, come Verga insegna, ha chiesto di pagare un’atroce gabella. Sono tre donne sole i cui gesti di lavoro si nutrono di parole stanche e di ricordi vissuti in scena con la sofferenza e il vigore di un antico canto tragico. Gna Tina è la vedova di un uomo che si è impiccato per i troppi debiti contratti prima con il Barone e poi con Mazzarò. Gna Nunzia ha perso la propria figlia, scappata di casa per diventare l’amante del Barone, una ragazza morta in città e seppellita con il marchio del disonore. Comare Sara è la madre di Mazzarò, una madre di Sicilia, dura e dolente, alla quale spetta la risoluzione catartica di questo dramma.
Nella drammaturgia il tempo scenico e lo spazio procede per addizione e sottrazione, operazione quantificabile visivamente nella presenza di grandi sacchi gestiti dalla gestualità complice di un campiere-becchino. Mazzarò accumula ricchezza togliendola al Barone con il rovello tacito di non poter mai comprare la posizione sociale di quest’ultimo. È la dialettica di un cedere e di un avere finalizzata alla risoluzione livellatrice della morte, appuntamento supremo per ogni uomo, possente falce, attrezzo di giustizia ed equità.
Lina Maria Ugolini