Autore: Lina Maria Ugolini
Copertina: Gianni De Conno
Editore: Splen edizioni
Anno: 2016
Età di lettura: Per tutti
Due parole adulte
l’autore a proposito di Jamil…
Mi capitò qualche tempo fa di sfogliare un Magazine del Corriere della Sera, uscito il 5 Settembre 08. In quel giornale c’era un servizio dedicato ai bambini egiziani “schiavi del cotone”: piccoli cuori costretti a turni di lavoro estenuanti sotto il sole cocente delle oasi della Mezzaluna. Su quelle pagine ho incontrato il volto sporco di un bambino con una mosca posata come lacrima vicino due occhi grandi e spauriti. Quegli occhi tenevano tra le mani ferite una piccola “nuvola” di cotone. A quegli occhi ho pensato di dare il nome di Jamil.
Credo fermamente nel potere della scrittura. La scrittura è Verbo creativo, scrigno prezioso di rivelazioni. Un Verbo che rappresenta un’opportunità di conoscenza interiore offerta in privato nell’atto della lettura. La conoscenza scaturisce dalla solitudine e dalla riflessione, dall’attenzione e dal silenzio. Una dimensione sempre più difficile da proporre all’uomo del secondo millennio ed impresa ben più triste, da far capire ai ragazzi figli del consumismo e dell’apparenza.
La scrittura di Jamil giova a dare la voce ad un bambino che i genitori, nella crudeltà della disperazione, vogliono far diventare “un uomo”. Un bambino costretto da un destino geografico avverso a vivere in quella parte di mondo dove ancora oggi, giorno dopo giorno, un piccolo essere impara a sopportare sulle proprie spalle l’esperienza del dolore e della fatica.
Il dolore rappresenta il più grande mistero della condizione umana. È un tema che ho incontrato altre volte nel corso della mia scrittura. Il dolore è il punto di sutura più intimo tra la vita e l’interiorità dell’arte. Indagare tra le sue ragioni serve a sopportane il giogo. Le soluzioni a disposizione possono essere varie: il sorriso, la fede, la bontà, la fantasia.
Quest’ultima è l’arma utilizzata da Jamil per difendere se stesso. L’unica possibilità di preservare ad oltranza il valore inviolabile dell’infanzia. Immaginare serve ad annullare il tempo delle ore e a lambire la sponda dell’eterno.
La scrittura di Jamil e la nuvola si articola con semplicità ricorrendo a tre livelli fonici di narrazione. Nel primo c’è la voce del bambino che racconta in prima persona la sua storia. Si inserisce quindi il narratore pronto ad offrire in alcune pagine un punto di vista oggettivo sull’ambiente e sui fatti.
L’ultimo livello riguarda l’incantamento prodotto della lingua delle fiabe. La fantasia di Jamil si racconta e costruisce nella pagina una dimensione parallela. A riguardo mi è sembrato lecito considerare l’ingranaggio di peripezie offerto dalla lezione de Le mille e una notte.
Le fiabe contenute in Jamil seguono un ritmo ed una struttura suggerita dalla fabulazione orale. Trapuntano i capitoli del romanzo producendo delicate sospensioni fantastiche tra la realtà del dolore.
Lina Maria Ugolini